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Oltre Keynes
Nell'insieme, dall'impianto costituzionale emerge una visione culturale e politica che va ben al di là delle ricette di Keynes, spesso geniali per equilibrare il capitalismo ma non per rinnovare il socialismo, che è affondato nel compromesso socialdemocratico e nel riformismo senza riforme. Non di un percorso a ritroso quindi si tratta, verso esperienze già consumate e concluse, bensì di un avanzamento che guarda al futuro, verso una civiltà più avanzata che potremmo definire nuovo socialismo. Non è convincente presentare la Costituzione e la lotta per la sua attuazione come una rivincita di Keynes nel corpo a corpo con ilneoliberismo. In realtà la nostra Carta costituzionale è il risultato di un'operazione politico-culturale ben più complessa e più avanzata, che ha prodotto un'architettura universale unica, e del tutto originale, senza riscontri in altre Costituzioni europee.
Non è inutile ricordare che dai principi liberali, sostenuti allora da azionisti, repubblicani e liberali democratici, la Costituzione italiana assume la conquista fondamentale dei diritti civili, ma respinge la vecchia ideologia proprietaria oggi riverniciata dal moderno mercatismo dei padroni della rete, che camuffa la proprietà capitalistica fino a farla diventare una divinità da adorare. Si è trattato di una scelta cruciale, sulla quale nei lavori della Costituente si è determinata una convergenza decisiva tra due correnti di pensiero che alla Carta fondamentale hanno dato un'impronta inedita, ancora più significativa e rilevante con il trascorrere del tempo. L'una d'ispirazione marxista, cui allora facevano riferimento il Pci e il Psi, l'altra d'ispirazione cristiano-sociale, di cui il principale esponente nella Dc era Giuseppe Dossetti.
Un solidarismo di origine diversa — osservava Palmiro Togliatti, protagonista assoluto della costruzione dell'impianto costituzionale, in particolare dei principi fondamentali e del Titolo III della prima parte — che però arriva «a risultati analoghi a quelli a cui arrivavamo noi» in materia di diritti sociali, «della nuova concezione del mondo economico» «fondata sul principio della solidarietà e del prevalere del le forze del lavoro», «dei limiti del diritto di proprietà». Ma anche sul tema della dignità della persona —aggiungeva — si è determinato un altro punto di convergenza, poiché «socialismo e comunismo tendono a una piena valutazione della persona umana».
Proprio la convergenza di culture diverse, sotto il segno non di un inciucio, bensì di una complessa sintesi di portata storica, ha consentito di delineare un grandioso disegno innovativo, sicuramente la vetta più alta raggiunta da noi italiani nel difficile e contrastato cammino verso la libertà e l'uguaglianza. Mi si permetta di citare dal mio Costituzione e rivoluzione:«La proprietà distribuita, limitata e finalizzata, e il mercato, regolato per soddisfare le esigenze umane e ambientali attraverso l'intervento pubblico e la presenza di soggetti sociali organizzati, promuovono la libertà come padronanza del proprio destino, non come assenza di regole, e l'uguaglianza come giustizia sociale, non come cancellazione dell'individualità e delle differenze. Il pluralismo nelle forme della proprietà, contrapposto à totalitarismo della proprietà privata capitalistica, rende bene l'idea di un percorso aperto, di un progetto riformatore in progress configurato da una Costituzione programmatica che delinea una trasformazione del sistema fino à possibile superamento dei rapporti di produzione capitalistici.»
Come confermano i nostri autori nelbrano citato all'inizio, l'articolo 3,secondo comma, esprime il convincimento che «la struttura socio-economica propria della società capitalistica debba essere superata in favore di un diverso modello di società», ma il keynesismo, espressione di un pensiero liberale alto, non si proponeva di innovare il socialismo bensì di consolidare il capitalismo, e non ha inciso nei rapporti di proprietà, che si è ulteriormente concentrata. Nelle sue applicazioni pratiche, poi, si è assestato sulla linea del governo politico del capitale nel tentativo di condizionarlo, utilizzando a questo fine la presenza di un movimento operaio sindacalmente e politicamente organizzato. Ma le contraddizioni del capitale non sono state superate, e anzi si sono ripresentate in tutta la loro violenza e drammaticità, favorendo l'offensiva liberista guidata da Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
La vittoria del capitale nella lotta di classe contro il lavoro è stata talmente schiacciante che il riformismo è diventato un sottoprodotto del liberismo, e la socialdemocrazia si è trasformata in un'officina che fornisce pezzi di ricambio alla macchina del capitalismo. Perciò è necessario un taglio netto con il passato. Non solo con il liberismo, ma anche con il keynesismo, oggi irripetibile perché sono cambiate le condizioni storiche, e perché non è ragionevole pensare di poter tornare à capitalismo "buono" che ha generato quello "cattivo" dei nostri giorni.
È arrivato il momento di prendere atto che il compromesso socialdemocratico si è definitivamente concluso con una resa senza condizioni al capitale. Ed è un inutile e perdente esercizio continuare a pestare l'acqua nel mortaio del riformismo, secondo il vecchio riformista Sergio Cofferati una parola malata, che ha tradotto in termini politici le regole economiche imposte dai mercati finanziari globalizzati. Vogliamo resuscitare un morto, o riappropriarci fino in fondo della cultura della Costituzione, che ci indica la via di un possibile cambiamento, ripensando i presupposti e i fondamenti di un nuovo socialismo?