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Economia mista
Quali sono, dunque, dentro questa cornice in sintesi delineata, gli indirizzi programmatici in materia economica che i due autori ci propongono? L'obiettivo fondamentale che la Costituzione persegue, sostengono Lunghini e Cavallaro, è quello della piena occupazione, come è chiaro dalla disposizione dell'articolo 4. Dove si afferma che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». Da cui deriva la necessità —precisano —di orientare l'attività dei pubblici poteri verso il perseguimento di questo fine: sia mobilitando con adeguati progetti di investimento la spesa pubblica e privata, sia promuovendo l'acquisizione da parte dei lavoratori delle conoscenze necessarie per il loro impiego.
Il lavoro, quindi, come diritto, ma anche come «dovere», da cui emerge, secondo gli autori, l'incostituzionalità del reddito di cittadinanza, che non può essere sostitutivo di una politica rivolta all'obiettivo della piena occupazione. Altra cosa — viene da osservare — sarebbero misure temporanee di sostegno del reddito all'interno di un piano pluriennale per il pieno impiego. Resta comunque il fatto, e questo è un indirizzo fondamentale per perseguire l'obiettivo della piena occupazione, che nell'impianto costituzionale l'interesse pubblico generale è destinato a prevalere sull'interesse privato. Di conseguenza, «l'esigenza di un governo pubblico dello sviluppo economico comporta l'abbandono del primato dell'iniziativa economica privata nelle scelte concernenti l'allocazione delle risorse». Secondo gli autori, si tratta di un'acquisizione costituzionale da cui non si può prescindere.
Stanno dentro questa logica le disposizioni dell'articolo 41, secondo cui l'iniziativa privata è libera, ma «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». In pari tempo risulta evidente che l'ultimo comma dello stesso articolo, nell'affidare alla legge il compito di determinare «i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali», non comporta l'instaurazione di uno statalismo burocratico e primitivo. Giacché, come Lunghini e Cavallaro fanno notare, non viene cancellato il mercato in quanto misuratore di efficienza né si propone una pianificazione integrale della vita economica. Si fissano invece le coordinate di un'economia mista e, negli articoli successivi, le disposizioni indispensabili alla scelta di «funzionalizzare la proprietà privata dei mezzi di produzione al conseguimento dell'utilità sociale», per dirla con le parole dei nostri autori.
Seguendo questi indirizzi, nella loro visione assume particolare rilievo il tema del credito e del risparmio, in connessione con le politiche fiscali. Le norme dell'articolo 47, con le quali si stabilisce di tutelare il risparmio in tutte le sue forme e di disciplinare e controllare l'esercizio del credito, stanno a si gnificare, né più né meno, che occorre «assoggettare al controllo pubblico la liquidità monetaria, nella sua duplice forma di risparmio e di credito». Ciò allo scopo di orientare il risparmio medesimo verso quelle forme di investimento che appaiono più consone alle finalità sociali cui deve essere ispirata l'attività economica. Infatti, «nel disegno della Costituzione — sostengono Lunghini e Cavallaro — il sistema bancario nel suo complesso non è altro che uno strumento per la gestione monetaria della programmazione pubblica».
Anche in materia di fiscalità il punto di vista dell'economista e del giurista è molto netto. Stabilito che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva», come prescrive il comma 1 dell'articolo 53, secondo loro «l'obiettivo principale dell'imposizione fiscale non è più quello di concorrere al finanziamento delle spese pubbliche per sanità, previdenza, infrastrutture eccetera, ma diventa quello di regolare la domanda del settore privato dell'economia, così che il settore pubblico possa variare la propria spesa (in avanzo o in disavanzo) in modo da conseguire non solo la piena occupazione, ma anche una struttura della produzione orientata secondo le priorità decise politicamente e condivise socialmente». Del resto, nello stesso articolo 53, il principio della progressività dell'imposta, in base al quale l'aliquota aumenta con l'aumentare dell'imponibile operando una redistribuzione del reddito dai ricchi ai po veri, favorisce l'espansione della domanda effettiva. Con ricadute positive sui livelli di reddito e di occupazione, giacché la propensione marginale al consumo dei più ricchi è inferiore a quella dei meno ricchi.