Pagina 7 di 7
Una civiltà più avanzata
Pensare una civiltà più avanzata, retta dai principi di uguaglianza, libertà, giustizia sociale, e lottare concretamente per questo obiettivo, non è un'utopia irraggiungibile. È la rivoluzione del nostro tempo. Che dovrebbe attenuare e colmare lo scarto, sempre più evidente e drammatico, tra le potenzialità della rivoluzione scientifica e tecnologica in atto, di cui la digitalizzazione della produzione e della comunicazione è solo un aspetto, e la concentrazione della proprietà e della ricchezza in poche mani, che fa ostacolo allo sviluppo sociale e civile dell'umanità e alla salvaguardia del pianeta.
Il modo di lavorare e di produrre, di vivere e di pensare è un processo di cambiamento perenne, nel quale ci sarebbe bisogno di una classe lavoratrice sempre più esperta, qualificata e istruita, capace di padroneggiare processi globali che hanno già cambiato la nozione tradizionale del tempo e dello spazio. Ma oggi accade il contrario. Le con tinue conquiste della scienza e della tecnica consentirebbero a tutte e a tutti di ridurre i tempi di lavoro e di elevare la qualità della vita, di tutelare l'ambiente e di padroneggiare con maggiore sicurezza il proprio destino. Ma nelle mani di un pugno di proprietari universali che competono tra loro per il controllo del mondo, accrescendo i pericoli di guerra, accade il contrario: intensificazione dello sfruttamento e aumento delle disuguaglianze, disgregazione della società, riscaldamento globale e desertificazione della terra con enormi masse umane che migrano in cerca di lavoro e sicurezza.
Se le confrontiamo con la socialità potenziale della rete e con la potenza scientifica e tecnologica della forza lavoro del nostro tempo, che si esprime soprattutto nelle capacità comunicative e relazionali a livello planetario, le forme attuali della proprietà capitalistica sui mezzi di produzione e di comunicazione appaiono addirittura barbariche. Non solo i settori produttivi e di servizio avanzati diventano sempre più incompatibili con le attuali forme della proprietà e dell'appropriazione. Siamo arrivati al punto che una banca privata "compra" con due euro altre due banche sull'orlo del fallimento scaricando i costi sulla collettività nazionale. E siccome 1'80 per cento delle entrate fiscali provengono dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, non è difficile calcolare chi ci guadagna e chi ci perde. Ma non è la prima volta che i poveri salvano i ricchi.
Anche i beni naturali, come l'acqua e l'aria, sono entrati in contrasto con la proprietà capitalistica e chiedono il suo superamento. In definitiva, diventa sempre più pressante l'esigenza di proprietà pubbliche, sociali e comunitarie, come la Costituzione prevede. È su questo nodo, stringente e decisivo, che occorre intervenire lottando perché l'economia e la società siano organizzate secondo un ordine nuovo, orientato al soddisfacimento dei bisogni umani e al pieno sviluppo delle persone. Ecco perché la sinistra dovrebbe impugnare la bandiera della Costituzione e della sua attuazione con un programma chiaro, che compia una precisa scelta di campo: dalla parte del lavoro, non del capitale.
Una scelta che consente di portare in Europa una linea effettivamente alternativa non solo (e non tanto) alle politiche cosiddette di austerità, ma all'intera costruzione europea fondata sugli interessi dominanti del capitale finanziario. Non l'Europa del capitale dunque, ma neanche il rinculo nazionalistico nell'Europa delle patrie, che spingerebbe inevitabilmente verso la concorrenza spietata e la guerra tra poveri. Bensì l'Europa dei popoli e dei lavoratori: che può nascere solo, per quel che riguarda noi italiani, portando in Europa la nostra Costituzione come utile contributo alla costruzione di un nuovo internazionalismo del lavoro, e al tempo stesso promuovendo in Italia un ampio movimento per l'applicazione dei principi costituzionali.
Se non si compie in modo chiaro e netto la scelta di impugnare la bandiera della Costituzione e dell'attua zione dei suoi principi e diritti mettendo al centro il lavoro, raccogliendo e dando sbocco positivo allo stato di generale malessere che attraversa strati sempre più ampi della società, la prospettiva è quella di un ulteriore degrado, di una crisi irreversibile della democrazia, dell'ascesa di una destra sempre più arrogante e totalitaria. Molti segnali sono già presenti al riguardo. Di fronte al vuoto di rappresentanza e di rappresentazione del lavoro che apre spazi enormi alle spinte nazionalistiche e fascistiche, la priorità assoluta, se vogliamo guardare in faccia la realtà, è dunque quella di colmare questo vuoto. Di impegnarsi pancia a terra, buttando à macero vecchie idee, vecchie storie e vecchie scorie, immergendosi nelle contraddizioni reali del mondo che ci circonda in cui vivono le donne e gli uomini in carne e ossa, per dare forma a un partito politico che renda protagoniste, oggi, le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare, e le aiuti a farsi classe dirigente.
La forza della nostra Carta fondamentale non sta solo nella capacità di unire la stragrande maggioranza degli italiani. Sta anche, forse soprattutto, nella capacità di volgere lo sguardo al futuro affermando una visione dinamica dell'uguaglianza e della libertà, indispensabile per poter parlare ai giovani. La Costituzione non abolisce la proprietà. Ma, come fa notare Stefano Rodotà, del quale sentiremo la mancanza per la sua dedizione alla causa dell'Italia democratica e progressista, con la Costituzione «si è ormai fuori dalla logica liberista» giacché la proprietà privata (il terribile diritto evocato da Cesare Beccaria) «è ormai conformata in maniera tale» da permettere «la realizzazione di finalità sociali».
In altri termini, la forza creatrice della Costituzione ci dice che l'uguaglianza non si riduce alle pari opportunità offerte dalle condizioni di partenza. Come mette in evidenza lo stesso Rodotà, «l'accesso alla conoscenza reso possibile da Internet non basta ad affermare il pari diritto di ciascuno, se le condizioni di partenza creano condizioni di disuguaglianza e di esclusione». Una conferma che le innovazioni scientifiche e tecnologiche reclamano quell'uguaglianza sostanziale, connessa alle condizioni economiche e culturali dei cittadini, che la Costituzione indica, tutelando in particolare i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro, e offrendo loro la possibilità di allargare il campo all'affermazione di diritti nuovi. Un'apertura straordinaria sul futuro, che conferma la lungimiranza dei padri costituenti.
Per cui in conclusione possiamo dire che se la priorità assoluta è organizzare le lavoratrici e i lavoratori, e costruire insieme a loro lo strumento politico indispensabile per applicare la Costituzione, d'altra parte la lotta per attuare i diritti costituzionali e conquistarne nuovi è anche il mezzo per dare forma a un partito che li organizzi e li rappresenti. In ogni caso è arrivato il tempo di ripensare il socialismo per uscire dalla prigione del capitalismo. Anche per questo serve la Costituzione.
Paolo Ciofi
Riferimenti bibliografici
Ciofi P. (2017), Costituzione e rivoluzione. La crisi, il lavoro, la sinistra, Roma, Editori Riuniti.
Keynes J.M. (2010), Laissez faine e comunismo, a cura di Giorgio Lunghini e Luigi Cavallaro, Roma, DeriveApprodi.
Keynes J.M. (2010), Possibilità economiche per i nostri nipoti seguito da Guido Rossi, Possibilità economiche peri nostri nipoti?, Milano, Adelphi.
Marx K., Engels F. (1983), Manifesto del partito comunista, Roma, Editori Riuniti.
Mortati C. (111975), «La Repubblica è fondata sul lavoro», in Politica del diritto.
Rodotà S. (2013), Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e sui beni comuni, Bologna, Il Mulino.
Togliatti P. (1987), «Sul progetto di Costituzione», in Discorsi Parlamentari I, Camera dei Deputati, Roma.