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Economia e democrazia
Non c'è dubbio che la lettura degli indirizzi economici proposta da Giorgio Lunghini e Luigi Cavallaro meriti grande attenzione, in particolare alla luce della crisi senza precedenti nella quale stiamo vivendo. Certamente un contributo di rilievo nella ricerca di una politica economica e sociale diversa, da praticare in Italia e in Europa, che rende necessaria la chiarificazione di alcuni aspetti di merito. Come pure delle condizioni politiche in assenza delle quali il disegno costituzionale, soprattutto per quel che riguarda gli aspetti economici, rischia di restare un'irraggiungibile utopia.
Quanto ai contenuti, non appare sufficientemente nitida a mio parere, negli indirizzi programmatici dei due autori, la relazione che intercorre tra economia e società, secondo cui in Costituzione gli interventi economici debbono essere finalizzati a obiettivi chiari e distinti, non al profitto per il profitto. Innanzitutto, alla piena occupazione, non c'è dubbio. Ma anche alla fitta rete dei diritti sociali, dei quali lo stesso diritto al lavoro fa parte, che invece restano piuttosto in ombra nella loro portata innovativa generale. Esattamente da questi nuovi traguardi sociali, anima e corpo di una civiltà più avanzata, i padri costituenti hanno fatto discendere le scelte in materia economica attinenti alle caratteristiche e alla qualità dell'impresa e della proprietà, come del resto risulta dalla stessa sequenza del Titolo III. Non il contrario. Se la priorità, invece, viene data all'economia e all'equilibrio dei fattori, si corre rischio di infilarsi in un tunnel senza via d'uscita, e di mettere in discussione le premesse stesse da cui gli autori hanno preso le mosse.
I padri costituenti non si proponevano di applicare, o di perfezionare, la dottrina economica di John Maynard Keynes, alla quale si richiamano con costanza i nostri autori, bensì di delineare un progetto di nuova società per dare soluzione a impellenti bisogni umani intervenendo nei rapporti di produzione capitalistici: con l'obiettivo di porre l'economia al servizio degli uomini e delle donne, non viceversa. Ben sapendo, avendo vissuto la tragedia della dittatura fascista, che se non condizioni, non limiti e non orienti il loro potere, e non fai crescere e progredire la democrazia anche nei rapporti di produzione, il dominio delle grandi concentrazioni economiche e finanziarie produrrà effetti devastanti sull'intera società. La democrazia sarà attaccata e limitata, svuotata e disgregata. Al limite, soppressa. Come è avvenuto con il fascismo, un regime dittatoriale di massa.
In merito agli aspetti politici, Lunghini e Cavallaro si appellano in modo pressante all'intervento dello Stato, ossia all'intervento pubblico, perché il mercato, abbando nato a se stesso, non precipiti nell'anarchia e il sistema acquisti un equilibrio. Ma cos'è oggi lo Stato nazionale, peraltro largamente svuotato dalle istituzioni sovranazionali, se non un organismo burocratico privo di rappresentanza e di partecipazione popolare, trasformato in agenzia a disposizione dei poteri economico-finanziari dominanti? E come è possibile, in tale condizione, contrastare questi poteri e limitarne il dominio politico, se sono essi stessi a dettare le scelte politiche e le regole istituzionali, direttamente o per interposta persona, in Italia, in Europa e nel mondo? È evidente che non si può porre correttamente il tema dell'attuazione del progetto costituzionale se nello stesso tempo non si combatte tenacemente, anche sul piano culturale, per mettere in campo una forza politica in grado di organizzare e rappresentare le lavoratrici e i lavoratori del nostro tempo.
Alla concentrazione del potere economico corrisponde lo svuotamento della democrazia. Questa è una "legge" ferrea del capitale, che oggi osserviamo a occhio nudo soprattutto nel Paese guida della democrazia occidentale, dove tutto il potere è concentrato nelle mani di monopoli privati della produzione e della comunicazione, i quali hanno instaurato una dittatura delle minoranze e si combattono ferocemente tra loro sul terreno politico. Il sistema democratico progettato dalla nostra Costituzione è tutt'altra cosa. Economia e democrazia, società capitalistica e nuova società, capitalismo e socialismo. Questa è la diade che la Costituzione del 1948 oggi ci propone, e per questo si manifesta in tutta la sua straordinaria attualità e nel valore universale dei suoi principi.
Una costruzione organica e coerente, sia nell'impianto logico che nella visione storico-politica. Nella quale, dal fondamento del lavoro che concretamente ridefinisce i principi di libertà e uguaglianza, fa emergere la fitta trama dei diritti sociali. In assenza dei quali il pieno sviluppo della persona umana non si realizza, e i principi di libertà e uguaglianza restano una declamazione vuota. Ma la Costituzione non si limita a indicare l'insieme dei diritti indispensabili all'affermazione della libertà dei lavoratori e allo sviluppo di ogni persona umana nel patto che unisce gli italiani. Prescrive anche i doveri e le condizioni economiche e politiche perché il patto costituzionale si possa inverare nella vita reale delle donne e degli uomini del nostro Paese, e nei conflitti tra capitale e lavoro che connotano la società in cui viviamo. Fino a prevedere l'ascesa delle lavoratrici e dei lavoratori politicamente organizzati alla direzione del Paese.