di Giulietto Chiesa - Se la sinistra si piega al mercato - Non c’era, nell’attuale panorama editoriale italiano, un libro che affrontasse organicamente il problema della crisi della sinistra italiana collocando la riflessione all’interno dello scenario mondiale.

Tutti hanno scritto di globalizzazione, spesso a sproposito, e tanti si sono lanciati nell’esame del cosiddetto «riformismo» dei tempi post moderni, molto simile a quello craxiano e molto diverso da quello di cui parlavano Amendola e Lama, Berlinguer e Di Giulio (chi si ricorda più di loro?). Molte le entusiastiche lodi al pragmatismo dei D’Alema odierni, e molte anche le invettive contro la loro resa incondizionata ai valori del neoliberismo e le loro genuflessioni pragmatiche verso la guerra.

Ma pochi che, lasciando da parte le invettive, cercassero di capire l’origine dei fenomeni, prima di cedere alla tentazione di esprimere su di essi un giudizio morale. Paolo Ciofi ha scritto un libro di grande lucidità che descrive assai bene i processi distruttivi delle tradizionali coesioni sociali creati dall’applicazione delle ricette neoliberiste, e individua le cause della crisi della sinistra nella subalternità a quei processi, nell’accettazione della flessibilità del lavoro in nome dl una presunta modernizzazione del mercato,

Il crollo del sistema sovietico, sebbene esso poco avesse a che fare e con il comunismo in generale (come Ciofi dimostra con grande chiarezza) e con il comunismo italiano in particolare, ha prodotto una frana ideologica e culturale nei partiti che del Pci sono stati gli eredi, in particolare nel Pds e poi nei Ds, rimasti senza ancoraggio ideologico e, per questo, perfino inconsapevoli, passati armi e bagagli nello schieramento neoliberista.

Ciò non è stato soltanto un fenomeno italiano, finendo col coinvolgere tutta la sinistra mondiale in quella resa ideologica e culturale che ha continuato a segnare le sue ritirate tattiche e strategiche negli ultimi quindici anni. Ciofi, non a caso, dedica all’analisi della caduta dell’Unione Sovietica alcuni capitoli del libro, vedendo in quel cruciale momento della storia mondiale del ventesimo secolo un punto di svolta epocale, ben più vasto della stessa sorte di un regime politico. Appunto un cambio d’epoca, per fronteggiare il quale occorrono strumenti concettuali dal tutto nuovi. Cioè - sottolinea l’autore distanziandosi anche dalle frange rimaste «comuniste» - non guardando indietro, alle macerie del passato, ma studiando la realtà del tempo moderno. Dove, appunto, il lavoro non ha più rappresentanza. E non soltanto perché coloro che lo avevano rappresentato in passato non lo rappresentano più, ma anche perché esso è stato tolto dall’agenda mediatica globale ed è sparito dalla vista degli stessi lavoratori.

Da dove ripartire? Per Ciofi i pilastri, non ancora distrutti in Italia, di una ripresa del movimento per una vera riforma democratica del paese, sono tutti racchiusi nella Costituzione, il patto per eccellenza tra gli italiani, l’unico modo possibile per ridare rappresentanza al lavoro. E in un rilancio della «sinistra fondata sul lavoro» nel contesto europeo, l’unico ambito dove è possibile pesare per fronteggiare la strapotenza dell’Impero.

La recensione fu scritta nel 2004 ,per il giornale "La Stampa"