di Luciano Barca - Lavoro senza rappresentanza - Anche per chi non ne condivida tutte le tesi, il libro di Paolo Ciofi rappresenta un contributo importante, per l’impegno di ricerca, per la ricca documentazione che offre a quanti vogliono affrontare il nodo della crisi della sinistra nei suoi termini strutturali e fondamentali. La sinistra non rappresenta più, secondo molteplici sondaggi e studi del voto, la maggioranza del lavoro dipendente e, anche se non sono mancate analisi valide delle enormi trasformazioni del modo di produzione capitalistico, la sinistra si è mostrata incapace di andare oltre la contemplazione di esse (in realtà Ciofi è più severo e accusa la sinistra di avere, negli ultimi anni, soprattutto contemplato se stessa- (pag 43). Avendo in Italia rinnegato sia le peculiarità del PCI che quelle del PSI essa ha finito per approdare, allo stesso modo di molte socialdemocrazie europee, al pensiero unico secondo il quale il capitalismo rappresenta, nell’epoca della globalizzazione, la fine o l’approdo definitivo della storia: un immutabile stato di natura (pag. 210) dentro il quale si può solo cercare di “migliorare” qualche aspetto marginale inchinandosi al ruolo centrale dell’impresa e rinunciando a contrapporre il lavoro umano al capitale.
Togliatti nel fondare nel 1945 il “partito nuovo”, non più come partito di avanguardie ma di massa. aveva indicato la via per superare, in una società democratica aperta allo sviluppo e in una situazione di mercato aperto, la contrapposizione tra riforme e rivoluzione, ma aveva tenuto ben fermo il riferimento del PCI al mondo del lavoro anche se non aveva inserito in tale mondo solo la classe operaia fordista. E l’ancoraggio al mondo del lavoro e ai temi dello sfruttamento e della alienazione era stato proprio anche del PSI, sia nella sua corrente riformista (che non ha mai, fino a Nenni, separato il mezzo dal fine) che in quella massimalista. Oggi i vari emuli della furia distruttrice di Eltsin in Russia parlano come tanti manager e per evitare di nominare il lavoro hanno inventato “il capitale umano”. Tutto è per loro, come per i liberisti, capitale: sia quello fatto di soldi e di potere sia quello fatto di lavoro subordinato in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, al primo. E nel migliore dei casi si sforzano di avere come modello di riferimento Bill Clinton.
Ciofi ha ben presenti le trasformazioni intervenute negli ultimi venti anni e ad esse dedica ampio spazio (“si è arrivati a privatizzare anche la guerra”), ma ha anche ben presente che quali che siano le modifiche intervenute nelle forme del capitale e nelle forme del lavoro non è pensabile il capitale senza l’alimento che gli dà il lavoro dipendente (pag. 215). Un alimento che il capitale succhia in maniera incessante operando a suo favore una gigantesca redistribuzione del reddito che rende i poveri sempre più poveri e che sta duramente colpendo in tutto il mondo gli stessi ceti medi e colletti bianchi (Ciofi ci ricorda, tra l’altro, che il termine tedesco arbeiter usato da Marx non significa solo operaio, ma significa lavoratore).
Ho detto che il volume di Paolo Ciofi è ricchissimo dal punto di vista dell’analisi e della documentazione ed è utile lettura e libro di consultazione per chiunque si sforzi di comprendere le difficoltà di certa sinistra in Europa ed in Italia.
Su due punti, tuttavia, vorrei invitare Ciofi - e i lettori del suo libro - ad approfondire il perché dello spostamento al centro o a destra (dato che entrambi pensiamo, al contrario di Blair che la distinzione tra destra e sinistra esiste) di una quota rilevante di lavoratori.
Poiché io sono meno disposto di Ciofi a vedere una CGIL in cui tutto va bene e i partiti di sinistra in cui tutto va male, vorrei chiedere a me stesso innanzitutto, se la scomparsa di una sede sindacale territoriale in cui i lavoratori si incontrino e “socializzino la politica’, sindacale e non sindacale, non pesi negativamente. ancora di più oggi nel momento in cui la scomposizione delle categorie e la fine della fabbrica fordista rende ancor più manifesto l’errore di Foa e Trentin di avere ucciso le Camere del Lavoro in nome dei Consigli di fabbrica. Ho sentito, proprio alla presentazione del libro di Ciofi, un sindacalista affermare che non possiamo trovare nulla di utile guardando al passato. Io penso che nel comune passato ci sono stati molti errori (e ne ho citato uno), ma anche idee, fermenti, realizzazioni che vanno ripensate. La parola Camera del Lavoro dà noia? Troviamone un’altra più fascinosa. Ma l’idea di una Casa in cui il lavoratore che opera isolato, collegato con il computer o il lavoratore autonomo alle prese con l’IVA o con problemi finanziari o l’operaio possano trovare consiglio ed aiuto (anche per questo esiste il sindacato), incontrarsi con altri lavoratori etc mi sembra sempre valida. Anche se era del vecchio Di Vittorio.
Ho accennato ai “problemi finanziari” - e qui vengo al secondo punto - perché tra le modifiche che il lavoro e la retribuzione del lavoro hanno subito c’è anche il dato oggettivo di un certo coinvolgimento del salariato o dello stipendiato nel capitale. La crisi argentina, il fallimento della Parmalat o della Cirio (così come era avvenuto negli USA per la Enron) hanno certamente colpito anche un po’ di quei rentiers che appartengono al parco buoi e ai quali le banche hanno rifilato bond privi di copertura. ma hanno colpito certamente migliaia e migliaia di lavoratori. Quegli stessi lavoratori che, senza grande resistenza dei sindacati, si vogliono coinvolgere in “fondi” privati di pensione ai quali i capitalisti potranno attingere per avere nuove fonti di finanziamento a basso costo. Il possesso di qualche azione può modificare l’atteggiamento di lavoratori anche in modo inconsapevole. Per questo la Confindustria di Damato si è spesa tanto, d’accordo con la banche, per ripresentare in forme nuove l’antica formula dell’azionariato operaio.
A prescindere da esso, comunque, è un fatto che la riduzione a zero del rendimento dei Bot ha spinto molti lavoratori a “partecipare al capitale”. Dobbiamo lasciarne la tutela a specifiche associazioni (qualche volta finanziate dalle banche) o affiancare alla fondamentale contraddizione capitale-lavoro, la contraddizione capitale di controllo ( padroni) e azionisti?
La crisi della globalizzazione all’americana è già iniziata - con manifestazioni anche drammatiche e sanguinose - e in questa crisi stanno certamente giocando un ruolo anche le contraddizioni interne al capitale.
da il Menabò di Etica ed Economia giugno 2004
Il lavoro senza rappresentanza
- Dettagli
- Categoria: Recensioni