di Dino Greco - Viaggio nell'Italia del lavoro cercando una nuova strada - Merita un'attenzione speciale la raccolta in volume dei reportages sul lavoro di Paolo Ciofi, pubblicati da il manifesto nella primavera del 2005 (Paolo Ciofi, Viaggio nell'Italia del lavoro, CalicEditori, Roma, 2008, pp.125).
L'itinerario del racconto, che l'incisiva prosa  di Ciofi rende piacevole e convincente, si snoda dal Nord al Sud del Paese: dalle "rovine" della Olivetti di Scarmagno e dell'informatica italiana alla siderurgia bresciana dopo il tramonto dell'impero di Luigi Lucchini; dalla destrutturazione produttiva e sociale della manifattura tessile napoletana al "moderno" taylorismo della Ducati di Borgo Panigale, sino al mito vitalistico, ma in inesorabile decadenza, della micro-impresa diffusa del Nord-Est; dalle nicchie di eccellenza dell'alta tecnologia della catanese Stmicroelectronics al paradossale destino di precarietà dei ricercatori dell'Enea. Realtà fra loro assai diverse, ma accomunate da una condizione di sfruttamento, di marginalità, di invisibilità del lavoro che documenta, ad un tempo, l'irresponsabile disprezzo per i produttori della ricchezza sociale e la rimozione -tutta italiana- di qualsiasi idea di programmazione e di politica industriale. Ma non minore interesse suscita il saggio introduttivo di Ciofi, nel quale l'autore "situa" la ricerca condotta sul campo, ne svela il movente e gli obiettivi, conferendo ad essa un senso unitario, dove l'inchiesta alimenta l'analisi e, infine, la proposta, secondo un metodo tanto necessario quanto colpevolmente desueto per una sinistra spesso malata di autoreferenzialità. Al centro campeggiano interrogativi rimasti sino ad ora senza convincenti risposte: come è stato possibile l'oscuramento sociale e politico della classe operaia, della quale si è giunti sino a vaticinare la fatale estinzione, proprio nella fase storica in cui essa conosce la sua massima espansione planetaria? E, ancora, come è possibile che proprio quando il lavoro, nella sua forma subordinata, dipendente, eterodiretta, si estende dalla produzione manuale a quella intellettuale, quando il capitale mette l'intera società alle proprie dipendenze, si attenui, sino a divenire residuale e ininfluente, la rappresentanza politica del lavoro? E, infine, come è possibile che i lavoratori medesimi, quell' "enorme arcipelago sociale -nota Ciofi- ignorato e talora vilipeso da una cultura d'impresa arrogante, nella realtà costituito da uomini e donne in carne ed ossa, che continuano a portare sulle loro spalle l'Italia", abbia smarrito la consapevolezza del proprio peso oggettivo, abbia introiettato quelle ideologie regressive che ne hanno spezzato l'unità potenziale, dispersa la coscienza politica di classe, annullata la capacità di parlare solidalmente all'universo del lavoro dipendente e a tutta la società?
Ciofi, che pure è attento indagatore delle trasformazioni intervenute nell'economia, nel mercato del lavoro, nell'organizzazione d'impresa nel tempo della globalizzazione, denuncia la manipolazione ideologica che dissolve il lavoratore nel cittadino, il cittadino nell'individuo, l'individuo nel consumatore. E descrive con puntuale efficacia la autodistruttiva conversione al pensiero dominante di quelle forze politiche che, deliberatamente abbandonata la stessa connotazione di "sinistra", hanno concluso la propria trasmutazione negando in radice l'esistenza della contraddizione, dell'antagonismo di interessi, fra capitale e lavoro. Sicchè, paradossalmente, la più eclatante (sebbene involontaria) delle conferme della "centralità del lavoro" nel processo produttivo e riproduttivo si trova proprio nelle parole di Emma Marcegaglia, neo-presidentessa di Confindustria, laddove al lavoro vivo, alla produttività delle braccia -e primariamente ad essi- vengono attribuite le chanches competitive dell'impresa moderna, la capacità di generare valore!
L'ultima fatica di Ciofi e -a ben vedere- l'intero itinerario della sua ricerca più recente, a partire dal suo "Il lavoro senza rappresentanza"[2] del 2004, si muove lungo il crinale di una critica della soggettività politica e -per converso- procede alla ricostruzione di un possibile punto di vista autonomo, di una nuova possibile egemonia del lavoro. Insomma, ci dice Ciofi, "il lavoro non è morto, è stato semplicemente rovesciato il rapporto di forza che lo lega al capitale. Ma svalorizzando e schiacciando il lavoro, il capitale opprime l'intera società e la soggettività della persona". Ed è nella verità di questo non nuovo ma quanto mai attuale assunto che può risiedere la chiave della rinascita, l'occasione per un riscatto del lavoro, il riaccendersi di una speranza.
La profondissima crisi che scuote sin nelle fondamenta -e non soltanto nella sua degenerazione speculativo-finanziaria- il modo capitalistico di produzione e di scambio rende necessaria la ricerca, per lungo tempo derubricata, di un'altra strada. Che passa per la messa in discussione  dell'ideologica convinzione secondo cui non è data alternativa al mercato, inteso non soltanto come regolatore della produzione sociale, ma come criterio ordinatore del complesso delle relazioni umane. Ogni tanto, a onor del vero, di fronte ai sempre più ricorrenti disastri, la sinistra mercatista (ammesso e non concesso che ne possa esistere una) viene percorsa da un brivido, che tuttavia si dissolve rapidamente nella coazione ripetitiva delle tradizionali ricette liberiste. Non è futile esercitazione semantica constatare come siano cambiate le stesse parole che connotano l'universo simbolico di una parte preponderante della politica italiana: dall'uguaglianza alla disuguaglianza (o, nella versione più edulcorata, alle pari opportunità), dalla programmazione al mercato, dal primato del lavoro a quello dell'impresa, dalla cooperazione alla competizione, dal pubblico al privato, dalla regolazione alla deregolazione, dal welfare al workfare, dalla rigidità alla flessibilità del lavoro, dal solidarismo all'individualismo: ecco le coordinate di un apparato ideologico sostanzialmente condiviso. In questa traslazione culturale e politica, che dunque non è solo di linguaggio, ma di significati, ha preso forma una vera e propria "fuga nell'opposto", verso un pensiero uniformato che ha reso gli schieramenti in competizione per il potere sostanzialmente omologhi: l'abbandono della concreta rappresentanza politica del lavoro e del conflitto sociale sta per Ciofi alla base dello sguardo strabico sulla realtà da cui la sinistra non riesce ancora a riaversi.
Mentre scriviamo, l'Italia è percorsa da un fremito nuovo, come spesso accade, in forme e modalità non previste neppure dagli osservatori più attenti. Vi concorrono tanto le sconvolgenti prove di sé del "capitalismo reale", quanto gli esiti mefitici delle politiche governative in Italia. Entrambi congiurano per un impoverimento sociale e culturale di massa che assume i caratteri di una vera e propria regressione della democrazia e della civiltà. Si dà oggi l'occasione per la ricostruzione di una sinistra da vent'anni a questa parte implosa in una crisi che pareva senza via d'uscita. Ed è ancora dal lavoro che può venire la risposta decisiva.
Il libro di Ciofi ripropone testardamente una strada, estranea ad escogitazioni estemporanee e a tattiche miracolistiche, una strada  da percorrere per immersione nel sociale, la sola capace di non rendere effimera e transeunte la nuova opportunità che la storia ci consegna.

recensione scritta da Dino Greco per Liberazione del 17 dicembre 2008