«Io come Petroselli», abbiamo letto sul Corriere della sera. Parole di Roberto Giachetti, renziano convinto - secondo quel che dice e quel che fa - e candidato del Pd a sindaco di Roma. Pronunciate in occasione della visita alla tomba di un comunista più che convinto qual era allora Gigi Petroselli, morto come un operaio sul lavoro alla fine di un discorso davanti al Comitato centrale del Pci. Un sindaco molto amato, che sulla capitale aveva idee molto chiare: «Solo se i mali di Roma saranno affrontati, solo se la parte più oppressa della società, dai poveri e dagli emarginati agli anziani, dalle borgate ai ghetti della periferia avranno un peso nuovo su tutta la città, essa potrà essere rinnovata e risanata. Solo se sarà più giusta e più umana, potrà essere ordinata, potrà essere una città capace di custodire il suo passato e di preparare un futuro».
Siamo dunque a questo punto: il candidato renziano, come Renzi guardiano e mentore dei poteri forti, per di più senza uno straccio di programma che guardi ai drammi del sociale e alla condizione umana nella metropoli, si appropria con pessimo gusto della salma di Petroselli, in vita schierato sulla frontiera opposta. È uno scippo. E Giachetti è un ossimoro vivente, o forse ancora peggio: è l’espressione perbenista e bene educata (fino a un certo punto) di un trasformismo senza principi. Prima rutelliano, poi renziano e insieme pannelliano, si fa fotografare sulla tomba di un comunista, persona specchiata e da tutti rispettata, con l’intenzione fin troppo scoperta di raccattare un po’ di voti: il vuoto programmatico coperto da uno scippo mediatico e da parole al vento. Non è rispetto per una tradizione politica e per la figura di un grande sindaco. È solo l’ennesima manifestazione, poco seria e molto grave, del degrado di una politica che dichiara tutto e il contrario di tutto. Disposta a tutto pur di agguantare il potere.
Paolo Ciofi
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